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L’importanza del Capitale Narrativo

Alla ricerca del proprio Storytelling

Verso la fine del romanzo di J D Salinger, Il Giovane Holden (1951), l’eroe del romanzo, Holden Caulfield, regala alla sua piccola sorella Phoebe un biglietto per la giostra dei cavalli. Holden si siede su una delle panchine del parco e la osserva girare insieme agli altri bambini. Sta iniziando a piovere mentre Holden – che ha passato la maggior parte del romanzo in uno stato emotivo fragile, in un misto di disgusto e depressione – si trova quasi sul punto di piangere dalla gioia.

“Mi sentivo così maledettamente felice che per poco non mi misi a urlare, se proprio volete saperlo. Non so perché. Era solo che aveva un’aria così maledettamente carina, lei, là che girava intorno intorno, col suo soprabito blu, eccetera eccetera”

Mentre la pioggia aumenta e i genitori degli altri bambini cercano riparo, Holden, come nulla fosse, continua ad osserva sua sorella tentare di afferrare il cerchio d’oro sopra la sua testa. E in quel momento, il nostro protagonista, ha una rivelazione profonda: la vita deve aver a che fare con quel tipo di tentativo ottimistico e innocente, continuare a provarci anche nel mezzo di un mondo impossibile.

Holden resta sotto la pioggia finendo per ammalarsi, come confermerà poco dopo. Rimarrà però ottimista: ora ha intenzione di andare in una nuova scuola in autunno e non vede l’ora.
Ha avuto un’esperienza emotiva e, di conseguenza, sente di essersi trovato. Questo gli permetterà – almeno così il romanzo lascia intendere – di rientrare a casa e smettere di fuggire. Un passo che segnerà in modo decisivo la sua crescita.

Il viaggio dell’eroe (questa volta aziendale)

Come nella maggior parte dei romanzi di formazione, Salinger si occupa prevalentemente di traghettare il nostro giovane protagonista – e indirettamente il lettore – nel suo posto sociale e produttivo. Per il Giovane Holden, crescere significa scoprire le motivazioni per accettare il mondo e trovarci il proprio posto all’interno. Così la “formazione del sé” si porta dietro, di riflesso, l’integrazione sociale.

E lo stesso vale per i supereroi che affrontano battaglie finali e decisive ma solo dopo aver preso coscienza di una lezione più grande, come l’importanza dell’amore o la forza dell’amicizia. O come Roberto Benigni in La vita è bella (1997), che salva il figlio dagli orrori dei campi di concentramento con il potere della fantasia.

Le storie non sono solo storie. Diventano mappe, antidoti, mattoni che vengono riposizionati per lastricare un sentiero da ritrovare per uscire dal bosco. E se per rimettere in piedi la nostra storia personale, il nostro “copione” di vita, spesso richiede tempo e parcelle salatissime che gonfiano i conti bancari di psicologi e psicanalisti, quando entriamo nel campo ristretto dell’attività lavorativa, la battaglia diventa più controllabile.

Così, mi piace vedere la ricerca del capitale narrativo nel proprio lavoro, nella propria azienda, come il viaggio affrontato da Holden: riconoscere intorno a sé una fiamma che ci fa evolvere. Perché tutto ciò che è vivo, compresa un’azienda, per crescere, deve affrontare un percorso di formazione: ha bisogno di riconoscersi nei propri valori così da mettersi in connessione con quello che la circonda.

Il Capitale Narrativo (questa volta ai tempi di Instagram)

Il trompe-l’œil (letteralmente “inganna l’occhio”), è un genere pittorico che, attraverso espedienti, induce nell’osservatore di stare guardando oggetti reali e tridimensionali, in realtà dipinti su una superficie bidimensionale. I trompe-l’œil consiste tipicamente nel dipingere un soggetto in modo sufficientemente realistico, da far sparire alla vista la parete su cui è dipinto.

Wikipedia

L’universo dei social è soprattutto apparenza, lo sappiamo.

E’ il terreno in cui, in una sorta di egocentrismo generale, ognuno rispolvera – coscientemente o meno – i propri punti forti per renderli evidenti agli occhi degli altri. Il successo lavorativo, la felicità del proprio nucleo famigliare, la tonicità del proprio fisico.

L’elenco dei mezzi è facilmente immaginabile:
Instagram stories, pose su Facebook, contenuti condivisi come questo, un blog. E ormai ne siamo tutti coscienti creando un affascinante mix di finzione e realtà accettato da tutti. Un incredibile mondo straordinario contro i malumori della quotidianità.

Succede in modo evidente oggi, sui social, ma siamo abituati a farlo da sempre. A parole, incontrando un semplice conoscente sotto i portici che ti chiede: come stai?, scrivendo e inviando lettere a lontani parenti, scegliendo un abito davanti al clic di una polaroid.

Continuiamo a scrivere e rimmaginare ogni giorno la nostra storia personale, con episodi che ci portano a diventare quello che siamo e ad avvicinarci a quello che desideriamo.

Ma quando si tratta della storia della nostra attività? Come facciamo a raccontarla in modo che renda giustizia a quello che abbiamo costruito, nel bene o nel male? Come faccio a raccontare il posto che ha trovato in questo mondo, le difficoltà, il bello che ha apportato, i piccoli problemi che ha risolto nella società?

Tutto questo gli ha donato la rete di valori che ci contraddistingue da tutti. Il nostro Capitale Narrativo.

Così il Capitale Narrativo è strettamente legato al nostro credo e ai nostri ideali che ci hanno portato a fare quello che facciamo oggi. E immettersi nella sua personale rete di tensioni sociali, politiche, ambientaliste, ispirazionale che riguarda il mondo del nostro prodotto/servizio?

Cosa ce ne facciamo del Capitale Narrativo?

Perché usare il cosiddetto storytelling aziendale, da qualche anno, sembra più che mai urgente?

Con il web, smaterializzando l’incontro, ci si è allontanati. Abbiamo creato un altro habitat, una nuova terra piena di opportunità e pericoli in cui smarrirsi.

Un intreccio di relazioni con persone mai così pronte a sostenerci, commentarci, alimentarci, distruggerci. Così, di tutto quello che non conosciamo, all’inizia siamo portati ad averne paura.

Eppure, come scrive Paolo Iabichino nel suo brillante Scripta Volant, riferendosi ai responsabili di marketing e comunicazione, spesso non sono riusciti a rompere le vecchie convenzioni dandosi “bensì all’esplorazione di nuove tattiche di comunicazione per colpire meglio i nostri target, come ricchi cacciatori dentro annoiati safari di un marketing addomesticato e claustrofobico”.

Come trovare davvero il proprio posto in una società ripetitiva e fredda come quella del web? Come compiere l’evoluzione fatta da Holden Caulfield e trovare il proprio posto sociale e produttivo all’interno del web?

A parer mio, come avrete capito, lo scopo è quello di fare entrare le persone che ci interessano nel nostro mondo. Rendere riconoscibili a loro le ragioni che ci hanno portato a fare quel che facciamo, ad essere quel che siamo, perché così possono iniziare a fidarsi di noi e noi a fidarci di loro.

Dare anziché dimostrare. Contribuire a far luce sulla tensione sociale, sul conflitto narrativo che il nostro stare sul mercato tenta di risolvere. E mostrare a chi ci sta di fronte chi siamo e il bello che c’è nel nostro sguardo aziendale.

E se magari ci siamo allontanati da questa iniziale fiamma – può succedere – la possiamo ritrovare. Bruciare i panni da cacciatore alla ricerca di polli da spennare sul web per vestire quelli di archeologi alla ricerca dei nostri vecchi fossili che hanno dato l’impulso decisivo al nostro mondo. Di una cosa possiamo essere certi: se c’è, il nostro Capitale Narrativo, non si sarà dissolto nel nulla.

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Devi conquistare quella collina. La collina è una metafora. Tutto è una metafora. Tu sei letteralmente una metafora!

(BoJack Horseman)

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